La sede centrale della Cia a Langley, in Virginia. (Saul Loeb, Afp)

Joshua Schulte, un ex informatico della Cia, è stato condannato il 1 febbraio a quarant’anni di prigione per aver trasmesso strumenti di ciberspionaggio a Wikileaks nel 2017 in quella che l’accusa ha definito “la più grave violazione di dati” nella storia dell’intelligence statunitense.

Schulte, 35 anni, era stato riconosciuto colpevole di otto capi d’accusa nel luglio 2022. Nel settembre 2023 era stato invece condannato per il possesso di materiale pedopornografico, scoperto nei suoi computer durante una perquisizione.

“Joshua Schulte ha tradito il suo paese commettendo uno degli atti di spionaggio più gravi nella storia degli Stati Uniti”, ha affermato in un comunicato il procuratore federale di New York Damian Williams.

“Ha messo a rischio la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e la vita degli impiegati della Cia, senza mostrare alcun pentimento dopo l’arresto”, ha dichiarato Matthew Olsen, vicesegretario alla giustizia per la sicurezza nazionale, citato nel comunicato.

Nel 2016, mentre lavorava per un’unità d’élite che si occupa di spionaggio informatico, aveva cominciato a mettere a punto il programma “Vault 7”, composto da strumenti di hacking, malware e virus informatici.

Nel marzo 2017 Wikileaks, organizzazione fondata da Julian Assange, aveva cominciato a pubblicare gli 8.761 documenti acquisiti, mettendo in forte imbarazzo la Cia e fornendo agli hacker di tutto il mondo alcuni degli strumenti usati dall’agenzia.

“La nostra fonte vuole lanciare un dibattito pubblico sulla sicurezza, la creazione, l’uso, la proliferazione e il controllo democratico delle armi informatiche”, aveva affermato Wikileaks all’epoca.

Secondo l’accusa, Schulte voleva in realtà vendicarsi della Cia per non aver preso le sue difese in occasione di alcuni conflitti interni.